venerdì 21 dicembre 2012

il giorno che il mondo è finito

[piccolo racconto apocalittico]


Tutti i giorni attraverso il parco. L'ho conosciuto lì. Si direbbe un barbone, avrà una trentina d'anni, anche se li porta male e ne dimostra un'eternità. Qualche volta mi son fermato a parlarci, di solito fa discorsi sconnessi, non si sa neanche con chi ce l'abbia, parla di fine del mondo, ma chi non lo fa di questi tempi.
Quantomeno non la prende in modo religioso, non dice pentitevi, dice qualcosa sui sogni.
Poi un giorno è cambiato qualcosa, l'ho visto sempre più triste. Lou (si chiama così, mi ha detto, sul suo cognome, poi, ci sarebbe un'altra storia, da raccontare, un'altra volta se ci sarà tempo), gli ho detto, che c'è? C'è che è sempre più tardi, mi ha risposto, ormai non so se ce la possiamo fare. A far che? A evitare l'inevitabile, mi sento come se stessi guardando una frana al rallentatore e non posso farci niente. Ti prego, mi dice con le lacrime agli occhi, ti prego, almeno tu, sogna!
Mi chiede spesso, cosa sogno, io raramente mi ricordo cosa sogno, qualche volta sì e ne parliamo, ride o si commuove con me.

Qualche tempo dopo, poco, lo trovo in lacrime, è fatta, non possiamo farci più niente. Come niente? dico. È finita, basta, hai sognato stanotte? Non ricordo… No! risponde, stavolta è diverso, non è che non ti ricordi, stanotte non hai sognato e basta. Nessuno ha sognato stanotte.

Ancora non capisci? il mondo è già finito.

Poche ore dopo, seduto al bar, sento una stretta al cuore, qualcosa come una separazione. Sento una goccia calda che mi scende lungo la guancia sinistra. Alzo lo sguardo dalla tazza di caffè e mi guardo intorno. Mi pare che tutti abbiano le lacrime agli occhi, una disperazione comune ma taciuta, quasi nascosta.

lunedì 1 ottobre 2012

 
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