Tutti i giorni attraverso
il parco. L'ho conosciuto lì. Si direbbe un barbone, avrà una
trentina d'anni, anche se li porta male e ne dimostra un'eternità.
Qualche volta mi son fermato a parlarci, di solito fa discorsi
sconnessi, non si sa neanche con chi ce l'abbia, parla di fine del
mondo, ma chi non lo fa di questi tempi.
Quantomeno non la prende
in modo religioso, non dice pentitevi, dice qualcosa sui sogni.
Poi un giorno è cambiato
qualcosa, l'ho visto sempre più triste. Lou (si chiama così, mi ha
detto, sul suo cognome, poi, ci sarebbe un'altra storia, da raccontare,
un'altra volta se ci sarà tempo), gli ho detto, che c'è? C'è che è
sempre più tardi, mi ha risposto, ormai non so se ce la possiamo
fare. A far che? A evitare l'inevitabile, mi sento come se stessi
guardando una frana al rallentatore e non posso farci niente. Ti
prego, mi dice con le lacrime agli occhi, ti prego, almeno tu, sogna!
Mi chiede spesso, cosa
sogno, io raramente mi ricordo cosa sogno, qualche volta sì e ne
parliamo, ride o si commuove con me.
Qualche tempo dopo, poco,
lo trovo in lacrime, è fatta, non possiamo farci più niente. Come
niente? dico. È finita, basta, hai sognato stanotte? Non ricordo…
No! risponde, stavolta è diverso, non è che non ti ricordi,
stanotte non hai sognato e basta. Nessuno ha sognato stanotte.
Ancora non capisci? il
mondo è già finito.
Poche ore dopo, seduto al bar, sento
una stretta al cuore, qualcosa come una separazione. Sento una goccia
calda che mi scende lungo la guancia sinistra. Alzo lo sguardo dalla
tazza di caffè e mi guardo intorno. Mi pare che tutti abbiano le
lacrime agli occhi, una disperazione comune ma taciuta, quasi
nascosta.